AMORE E PATRIA IN UNA LETTERA DEL 1909
di
Gaetano Barbella
Ma cosa si dicevano gli innamorati nel secolo scorso? Solo parole d'amore?
Non sempre, per esempio, s'intrecciava nei loro pensieri e parole la Patria, più di quanto si possa immaginare.
Poteva capitare che il nome dell'amata si chiamasse Italia e non quella effettiva, come nel caso di una lettera di mio nonno paterno indirizzata alla sua Gina, un paio di anni prima che la sposasse. Credo di onorarli riportandoli al presente col mostrare di seguito la lettera suddetta della quale riporto in fondo a questo scritto le copie conformi all'originale.
LA LETTERA
26.2.1909
A te Gina
È solo degli angioli il sognare???… Nello sfondo ardente d’un “incantevole tramonto, discerno ergersi, qual candida nube nell’orizzonte, una forma vaga che ha del soprannaturale, del paradisiaco. Le scultoree forme poste a traverso i raggi del rosso sole morente, spiccano maestosamente e circonfuse d’un’aureola divina sembrava emanare terribili e deliziosissimi fluidi magnetici che costringono tutte le creature poste al raggio d’esse a rimanere fisse, incantate estasiate.
Veste un lungo camice bianco con goffe di trina, del medesimo colore, che dal gomito pende maestosamente fin giù le mani inguantate a bianco. Le cinge la vita una ghirlanda di verdi foglie di quercia che artisticamente legate al fianco sinistro sembrano pendere da quel lato in dolce abbandono. Sulle belle, chiome castagne ammantate con finita arte, posa larga corona d’Alloro e sul davanti di essa, quasi ad emblema di insuperabilità, erge sublime fulgida una stella.
A tracolla, porta un largo e lungo nastro tricolore che posato sulla spalla destra scende blandamente obliquo fin all’anca sinistra, ove termina formando una grande e magnifica nocca. Il viso, coperto da piccola maschera non può discernersi, ma dalla dimensione di esso e dal fulgido sguardo emesso attraverso i fori della pendente copertura, si intuisce con matematica certezza esser degno del corpo che lo porta.
Essa dirige i passi alla mia volta con andatura celere e maestosa. Io assiso in un cantuccio d’una caverna esistente nella scoscesa parete di una rude roccia isolata, sto guardingo a scrutare le minime mosse di quella nuova Silfide vivente, deciso soffocare qualunque sentimento che essa sarebbe stata capace farmi nascere in cuore. Intanto essa avanzava, avanzava sempre…
La potenza magnetica del suo sguardo, che in sulle prime avea trovato in me un corpo neutrale cominciò a far presa. Tentai allora evitare quei raggi visivi e mi rannicchiai il più che possibile onde sfuggire a quella potenza ignota ed arcana; ma mio malgrado guardavo fisso anch’io. Un dolce torpore e un tremito indefinibile avea assalito il mio corpo, facendolo sudare a freddo. Volli alzarmi, provare fuggire, ma rimasi lì fermo, spossato, annientato, con lo sguardo stupito, ma fisso su quella sirena che quale irruente onda marina riversava su di me tutto il di lei fluido.
E così stetti finch’ella mi fu vicina.
Con mosse da Dea mi si fermò a due passi e tendendomi un’incantevole mano, con voce che fece scuotere tutte le fibre del mio essere disse piano piano: «Fin dal mio sorgere ti vidi ed a te vengo... Mi chiamo Italia e sola, vengo a cercare in te quel che sia capace di sicuro appoggio, amore e difesa; tu quale cavaliere, lo sai, lo senti, lo puoi fare. Nasco proprio oggi, e nel germoglio della mia nuova vita affido a te il mio essere che fin’oggi ha posseduto un animo sempre deluso e deriso».
Stette per un po’ silenziosa indi toltasi con infinita grazia la mascherina e ritornando a porgermi la manina, aggiunse: «Accetti??». Quale ebete io stavo a guardare, guardare ancora, quando quell’ultima parola e la vista del volto mi colpì al cervello... saltai di scatto, afferrai la mano che mi venia posta e con stretta atroce la portai al cuore, che dalla massima freddezza era passato alla massima caloricità, indi alle labbra e dopo avea deposto il più santo dei baci mi spinsi d’un passo avanti… due braccia mi accolsero.
Quanto tempo si rimase così?…
Io piangevo e le lacrime calde che sgorgavano copiose dai miei occhi, da lungo tempo aridi, venivano assorbite dall’Italia che confortavami a carezze.
«Accetti??!!...». Sentii ancora ripetermi come un sussurro…
Allora senza aprire bocca guardandola a lungo, mi sciolsi dall’abbraccio e presola per mano la condussi fuori dalla caverna. Nel prato verde che come tappeto infinito stendesi innanzi, raccolsi con la mano libera i migliori fiori ivi esistenti, indi sceltone uno rosso lo porsi ad essa, gli altri li disposi a casaccio, con mano tremante attorno alle di lei chiome e veste, ed inginocchiatomi a lei dinnanzi, tenendo sempre la di lei mano stretta nella mia risposi fra l’emozione: «Abbi infinita fiducia, amore e pazienza;…oggi ricorre la tua nascita, la tua rinascita alla vita e con essa ricorre anche la mia; vivi sicura, se oggi siamo rinati in due morremo, ed assieme…».
Nell’orizzonte intanto splendeva la luna, che con i suoi materni raggi illuminando la coppia, rendevala un gruppo divino, quasi a formarne l’apoteosi della giornata trascorsa incantevole a glorificare la natura che sempre tacita godeva. Gli usignuoli melodicamente lanciavano le loro flebili note al cielo in segno di gaudio celeste.
G. Barbella
CENNI BIOGRAFICI
Gaetano Barbella, l'autore di questa lettera e nonno dello scrivente, sposò due anni dopo la Gina della lettera, Luisa Sapio nata e vissuta a Grammichele di Sicilia, stabilendosi a Caserta. Nonno Gaetano, chiamato familiarmente Tanino, in seguito ad una polmonite, morì prematuramente lasciando l'infelice sposa con due figli infanti da accudire, Francesco e mio padre Ettore. Nonna Luisa riuscì, con grande coraggio, a superare la sventura della grave perdita subita dimostrandosi piena di vigore ed iniziativa. Si diplomò come ostetrica ed esercitò, così, la professione di levatrice condotta. Si risposò ed ebbe altri due figli, Domenico e Filomena che è l'unica, fra nonni e loro figli, in vita. Nonna Luisa mostrò particolare predilezione per lo scrivente, suo primo nipote, verso il quale non mancava di dimostrargli un amore filiale straordinario. Intravedeva in lui, pupillo dei suoi occhi, una personale cristianità ideale che, forse, neanche lei riusciva a discernere, ma vi prestava fede e speranza. Mi diceva spesso, vantandosene alla presenza di altri e facendomi intimidire più di quanto non fossi già, che somigliavo tanto per la mia mestizia e tranquillità al Beato Domenico Savio, l'allievo prediletto del Santo Giovanni Bosco. La sorte volle che, in modo a lei congeniale, ella si occupasse degli infanti come levatrice aiutandoli ad sorgere dal grembo materno. Ecco che si delinea il parallelo con San Giovanni Bosco attraverso le trame incomprensibili del destino. Nulla che faccia meraviglia, allora, se si determinarono in Luisa Sapio, inconsapevolmente, le stesse sacre cose che premevano al Santo.
E dell'Italia tanto onorata da mio nonno Gaetano, da idealizzarla in colei che amava in modo superno? Nonno Gaetano non ebbe modo, nella sua vita stroncata nel momento più bello che il destino gli offriva, di fare la parte che gli sarebbe spettata e che lui agognava, quella dello sposo amorevole e padre, due cose che gli furono negate dal destino, come anche quella di servire la Patria nella vita sociale. Un servizio che certamente avrebbe svolto con grande prestigio, e che insieme a quello per la famiglia, non può che essere stimato come un'immolazione per l'Italia che lo esigeva da lui imperiosamente, forse in modo speciale. Ma come farò vedere brevemente quanto basta in modo incisivo, toccò al fratello Umberto Barbella occuparsi da milite, nelle vesti di sottufficiale della Regia Marina Militare, a far da simbolica presenza in due momenti eccezionali dell'Italia da ricordare immortalati dalle due foto riportate sotto.
Oggi, ritornando indietro con la memoria, al tempo della presa di possesso della Base del Comando Navale dell’esercito austro-ungarico dislocato ad Abbazia d'Istria, mai si potevano supporre gli estremi sacrifici cui furono soggetti i residenti italiani ivi dislocati. Eppure fu un gran bel giorno quel 4 novembre 1918, quando il R.C.T. Acerbi della Real Marina Italiana sbarcò ad Abbazia ed un plotone si recò marciando alla base dell'ex Comando Austriaco per issarvi il nostro tricolore. Il caso volle, che fra i componenti dell'equipaggio dell'Acerbi vi fosse il sottufficiale Umberto Barbella, fratello del nonno Gaetano. Ma non basta per far evolvere chissà quale disegno progettuale di un'Italia da realizzare poi, perché Umberto Barbella, quattro anni prima si trovò imbarcato sulla Regia Nave Napoli, in concomitanza del perfezionamento degli esperimenti sulle radiocomunicazioni ad opera dello scienziato Guglielmo Marconi, Nobel per la fisica nel 1909. Era il 13 marzo 1914.
Abbazia lì, 4 novembre 1914.
Presa di possesso del Comando della Base Navale austroungarica
L'alzabandiera della vittoria.
Presa di possesso del Comando della Base Navale austroungarica
L'alzabandiera della vittoria.
Augusta lì, 13 marzo 1914. Regia Nave Napoli.
La firma autografaè di Guglielmo Marconi,
Nobel per la fisica nel 1909
La firma autografaè di Guglielmo Marconi,
Nobel per la fisica nel 1909
Non potevi scegliere per la data di oggi, lettera più bella!
RispondiEliminaUna grande emozione per questo magnifico pezzo di storia, grazie.
RispondiElimina...ho una specie di fiuto, da Scientificamente mi è venuto voglia di passare di qui ed ho trovato una lettera del nonno di Gaetano, quanto mai opportuna per la giornata di oggi.
RispondiEliminaLettera interessante per l' epoca storica, ma non credo che in tanti allora( ed anche oggi) avessero l' ardore e la fantasia che dimostra l' avo di Gaetano.Mi ricordo di un' altra lettera in cui il nonno di Gaetano si rivolgeva all' amata Gina come in un Cantico dei Cantici.
Ciao Annarita.
Bellissima lettera, con un dato molto significativo: la nonna di Gaetano era siciliana e l'unità d'Italia ha un legame filiale con la Sicilia.
RispondiEliminaGrazie mille ed un abbraccione a te, Annarita, e a Gaetano,
maria. I.
Gaetano sei sempre una fonte vera e di grande emozioni.
RispondiEliminaUna cartolina che ci riporta come per magia indietro. Raccogliere un pezzo di storia della nostra Italia attraverso una cosi bella testimonianza non può che renderci orgogliosi del nostro amico Gaetano.
Grazie a te ed Annarita.
Questo post è un sogno è cosi bello, in un sol colpo come per magia Gaetano e tu Annarita siete riusciti a dare in questo giorno alla nostra Italia un valore aggiuntivo tra i più belli.
Vi abbraccio con tanto affetto.
Mi soffermo all'intervento del nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nella serata tv dedicata alla trascorsa Notte tricolore per i 150 anni dell'Unità d'Italia.
RispondiEliminaIn particolare Egli ha detto con il 150.mo dell'Unità d'Italia «festeggiamo il meglio della nostra storia», pagine che nessuno deve dimenticare. Non dobbiamo dimenticare che «se fossimo rimasti come nel 1860, divisi in otto stati, senza libertà e sotto il dominio straniero, saremmo stati spazzati via dalla storia. Non saremmo mai diventati un grande paese europeo».
No, non è retorica da condividere che, magari, non pochi italiani riescono ad essere partecipi. E potrei essere anch'io uno di questi, preso dagli affanni delle questioni di una famiglia in difficoltà. Invece all'ultimo momento mi è venuto di suggerire alla cara Annarita di pubblicare la lettera di mio nonno Gaetano alla sua amata Gina di un lontano 1910.
Ecco che si ha coscienza in me quale sia il "meglio", inteso da Presidente Napolitano, da festeggiare della mia personale "storia". E non solo il "meglio" attraverso l'emozione che mi si genera nel rievocare gli attimi di mio nonno Gaetano allorché scriveva la lettera in questione, e nel contempo gli analoghi attimi della relativa lettura da parte di mia nonna Luisa Sapio.
Era il "meglio" dell'amore di due giovani prossimi alle nozze. Ma altri "meglio", per il fratello Umberto di nonno Gaetano, sono la rievocazione della presa di possesso della Base Navale austro-ungarica da parte della Marina italiana nel 1918. Senza contare il "meglio", ancora per il prozio Umberto, in occasione degli esperimenti di Marconi sulla nave "Napoli" su cui era imbarcato.
Di qui un altro "meglio" di tanti italiani sfiorati dalla presenza del mio prozio Umberto Barbella, quelli di una terra, l'Istria, che da fine ultima guerra è fuori dai nostri confini.
«Oggi, ritornando indietro con la memoria, al tempo della presa di possesso della Base del Comando Navale dell’esercito austro-ungarico dislocato ad Abbazia d'Istria, mai si potevano supporre gli estremi sacrifici cui furono soggetti i residenti italiani ivi dislocati. Eppure fu un gran bel giorno quel 4 novembre 1918, quando il R.C.T. Acerbi della Real Marina Italiana sbarcò ad Abbazia ed un plotone si recò marciando alla base dell'ex Comando Austriaco per issarvi il nostro tricolore.»
(continua)
Gaetano
(continuazione)
RispondiEliminaMa cosa porta a riflettere il "meglio" in questione?
Di più. Cosa porta alla rievocazione di cose e fatti che si perdono nella memoria se non riattivati?
Io dico che è giusto il miglior modo per risalire ad un passato luminoso, come un sole allo zenith. Tanti soli come se fossero tutti concepiti all'insegna di una "sezione aurea", di una "Divina Proporzione" che meglio non si può.
Il "meglio", di una scala indefinita di tanti "meglio", come una scala musicale, è proprio quella che conduce l'uomo al detto socratiano famoso "conosci te stesso". Ma ora sto superando gli effetti di questo motto greco, iscritto sul tempio dell’Oracolo di Delfi.
Allora era un invito a guardarsi dentro, per capire che la vita è dentro di noi e non fuori.
Comprendere che la persona coincide con l’ "io", e che la conoscenza di questo "io", è fondamentale per la ricerca della felicità, e veniva detto allora.
Ma se quell' "io" non lo mettiamo in rapporto all' "io" esteriore, che può essere immaginato come il cavallo su cui monta l'altro che funge da cavaliere, l'uomo, il giusto uomo non sarà mai tale e risulterà sempre diviso in sé, proprio come quell'Italia prima del 1861 divisa in otto stati, come ha rilevato il Presidente Napolitano.
Si predica che sia nostro dovere tentare di migliorarci, partendo dalla consapevolezza dei limiti, che però sembrano effettivamente insormontabili. Ma come si fa a conoscere i propri limiti? Come si fa da accettarci, con tutti i nostri limiti?
Ancora.
Dobbiamo occuparci di ciò che ci compete. Ognuno deve fare quello che gli riesce meglio. Bisogna seguire le proprie attitudini, valorizzare le proprie capacità, ed una società giusta, dovrebbe permettere alle persone di fare ciò per cui sono nate.
Ecco che tutto questo potrà trovare incoraggiamento, sollievo, impulso, addirittura entusiasmo, detto in breve, positivo abbrivio, grazie a quella scala dei "meglio" suddetta, una scala che ha in sé tutti i connotati per portala alla fonte della felicità, non disgiunta da almeno un pezzo di "terra" su cui costruire una nuova vita degna di essere.
In questo senso hai detto bene Paola, accostando la lettera dei miei nonni con il Cantico dei Cantici.
(continua)
Gaetano
(continuazione)
RispondiEliminaOra colgo l'occasione per perfezionare alcune cose in merito alla biografia dei miei nonni paterni, cosa importante...
Da giovane non mi sono tanto preoccupato della vita dei miei nonni e prozii, anche perché nemmeno ne parlavano i miei genitori, presi a doversi preoccupare come risolvere le carenti condizioni economiche in cui si sono trovati sin dal momento in cui si sono uniti in matrimonio.
Ancora maggiormente, si acuiva questa mia disattenzione per il passato della famiglia, specie quella paterna, a causa del fatto che il mio nonno paterno Gaetano è venuto meno allorché mio padre era poco più che neonato. E perciò era come se non lo conoscesse e non ne sentiva il richiamo in sé.
E così, inspiegabilmente, mi sono trovato a credere erroneamente che mia nonna Luisa Sapio era nata a Grammichele, invece non è così.
Da poco tempo, spinto dalla volontà di pervenire a maggiori informazioni sui miei nonni paterni in particolare, ho avviato delle ricerche interpellando l'Archivio Storico di Grammichele. E così, con mia sorpresa, oggi pervengo alla relativa risposta tramite varie certificazioni, e fra queste quella che attesta il servizio di Comando delle Guardie Municipali di Grammichele, dal 1899 al 1900, da parte di mio bisnonno Barbella Francesco, e perciò non Francesco Sapio che ho ritenuto erroneamente il papà della nonna Luisa. Il bisnonno Francesco in causa è nato a Napoli il 24 dicembre 1856.
Poi, tra l'altro, mi viene comunicato lo stato anagrafico del primo figlio del suddetto mio bisnonno Francesco B., ossia il nonno Gaetano della lettera a Gina.
A questo punto l'amica Maria Intagliata gioirà nel sapere che il nonno Gaetano Barbella è nato nella meravigliosa Pozzallo di Ragusa il 12.02.1885. Qui Gaetano B. e Rosa Carrelli si sposarono l'8 maggio 1856 e vi abitarono per un tempo, fino a che non si trasferirono a Grammichele dove nacquero altri figli.
Ho detto tutto questo per porre in evidenza il forte desiderio da parte mia di pervenire ad un passato personale preso dalla certezza che non è possibile ignorare questa realtà, anche se trascorsa, se si è presi dal forte richiamo della conoscenza di sé.
Gli uomini nascono in potenza nei loro avi.
Grazie a tutti per aver lodato le mie modeste cose e grazie ora per l'attenzione per ciò che ho appena detto.
Grazie prima di tutti da Annarita e poi
@ enrico
@ riri
@ teoderica
@ maria I.
@ rosy
gaetano
Un bellissmo post che nel suo intero mi ha profondamente emozionato anche perché i miei avi e i miei genitori erano siciliani e mio padre si chiamava Gateano.
RispondiEliminaGrazie il monticiano. La Sicilia ci accomuna, ci affratella. Ma è ancora più emozionante affermare che la Sicilia con la Calabria è stata la prima Italia.
RispondiEliminaGaetano
Cari amici, vi ringrazio tutti della partecipazione e dell'apprezzamento nei riguardi della bellissima lettera che ci ha regalato il nostro Gaetano.
RispondiEliminaMi dovete scusare se non riesco a rispondere ai vostri commenti puntualmente come vorrei, ma i due blog didattici mi impegnano molto.
Leggo, comunque, sempre con molto interesse e con estremo piacere i vostri scritti.
@Gaetano: cosa dire? Tre volte grazie per la perla che ci hai offerto.
Un abbraccio cumulativo.
annarita
Molto emozionante... ci sono sentimenti che sono veramente eterni...
RispondiEliminaUna bella lettera piena di grande idealità. Bellissime anche le immagini che hai scelto per illustrarla. Un caro saluto, Fabio
RispondiElimina@ Veggie
RispondiElimina@ Blogaventura
Identificare il bene personale con quello della propria terra e scriverlo, incidendolo sulla propria pietra mentale e farla diventare monumento. A cominciare dalla natura legata alla terra, si sprigionerebbe l'immanenza del creato partecipe di tanta concordia, similmente ad un altro messaggio di eterna alleanza con i viventi.
Se potessero fare altrettanto molti uomini oggi, quelli che comandano nazioni, quelli che hanno le redini dell'economia, e altri di una lunga lista di coloro che contano nel mondo, saremmo ad un passo dal mettere al bando le guerre, le contese e ogni ostacolo alla pace.
È utopia, ma giova e aiuta pensarlo, sognarlo, per sopportare la vita grama in coloro che vivono timorati di Dio.
Grazie anche a voi, Veggie e Blogaventura
Gaetano
Che emozione nel leggere questa splendida lettera e la ricostruzione del passato della famiglia di Gaetano.
RispondiEliminaGrazie Annarita per avere dedicato un post a questa interessante e poetica testimonianza e soprattutto grazie a Gaetano per averla condivisa.
@ skip
RispondiEliminaIl tempo macina il passato di tanti del popolo e le loro generazioni finiscono per non saperne nulla. Tanti orfani che invece avrebbero bisogno di sapere dei loro padri, nonni e bisnonni. Basta conoscere la storia attraverso Garibaldi, Cavour, Mazzini e tanti altri personaggi d'eccellenza?
Grazie di aver condiviso la mia piccola storia.
Gaetano